Roveredo

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Cenni storici

La storia di Roveredo è la storia della valle, così come quella del passo del San Bernardino, importante via di comunicazione tra il nord e il sud delle Alpi è per lo più una strada commerciale. Per questo la storia di Roveredo è profondamente legata alla storia svizzera, quanto a quella dell’Europa centrale.


Molto probabilmente, il passo del San Bernardino (il cui nome primordiale era “Mons Avium” la via delle genti) esisteva già all’epoca del bronzo.
Già in quest’epoca la Valle Mesolcina era abitata. Lo provano i vecchi insediamenti ed i reperti storici scoperti in modo speciale a Roveredo e San Vittore.


Nell’ottavo secolo Avanti Cristo, furono probabilmente i Liguri, che fuggiti dal nord Italia si insediarono in Mesolcina. Una testimonianza di questo fatto sono i diversi nomi topografici terminanti con “asca” o “asco”, così come l’Albionasca, la Roggiasca, la Calancasca, ecc.
Due secoli più tardi arrivarono i Galli. Questi influirono anche nel dialetto parlato in valle, che ancora oggi è tipico gallo-romano con origini lombarde.


Nell’anno 15 Avanti Cristo, la Mesolcina venne occupata dalle truppe imperiali romane ed annessa alla provincia “La Rezia”. I Romani costruirono e rimodernarono ponti, strade e vie d’accesso, così che in poco tempo ebbe il predominio la civiltà romana e la lingua latina. I Romani rinforzarono ben presto la strada che dalla bassa valle porta al San Bernardino per difendersi dai Germani. (Diversi resti di questi sbarramenti sono ancora visibili oggi a Roveredo).


Con i Romani, nel quarto e quinto secolo, arrivò in valle il cristianesimo, che si sviluppò rapidamente su tutto il territorio. (Il nome dei santi, ad esempio San Vittore, Santa Maria, ecc. dati ai diversi villaggi, sono appunto in corrispondenza con l’arrivo del cristianesimo).


La Mesolcina dipendeva già da allora molto probabilmente dalla Diocesi di Coira e non dalla Diocesi di Como; difatti già in quel tempo i rapporti verso il nord erano più stretti ed abbondanti che neanche verso il sud. Alla caduta dell’impero romano la Mesolcina venne occupata dagli Ostrogoti e più tardi dai Franchi.


Verso la metà del decimo secolo (attorno al 950), la Mesolcina passò nelle mani della signoria di Bregenz. Più tardi, nel dodicesimo secolo, la valle passò in eredità ai Conti de Sax. Questi dominarono la valle fino al 1480. In quell’anno, il figlio del Conte Enrico De Sax, Giovanni Pietro De Sax, dominatore della valle in quell’epoca, trovandosi fortemente indebitato, cedette l’intera valle per la somma di 16`000 fiorini d’oro al Conte Trivulzio di Milano. Tre anni più tardi Giovanni Pietro De Sax voleva riscattare dal Trivulzio il Ducato di Mesolcina ceduto. Il Conte Trivulzio non accettò anche perché nel frattempo aveva stretto legami d’amicizia con la Lega Grigia.


Sotto il dominio dei Trivulzio il popolo mesolcinese stava abbastanza bene. I Comuni erano liberi ed autonomi. Le genti dovevano pagare una volta all’anno ai conti Trivulzio la decima.


Con il trascorrere del tempo il popolo della Mesolcina desiderava ed ambiva sempre più di liberarsi dal dominio dei Trivulzio, di ottenere una propria libertà di pensiero e d’azione.
Nel frattempo Giangiacomo Trivulzio coinvolto in conflitti d’armi in Lombardia, necessitava sempre più di denaro e di merci. Egli dovette pertanto aumentare le tasse in modo sproporzionato. I Mesolcinesi abituati in precedenza a vivere più comodamente, decisero di liberarsi più in fretta possibile dal duca Giangiacomo Trivulzio.


Dopo snervanti e difficili trattative, il 2 ottobre 1549, venne sottoscritto a Mendrisio il contratto attraverso il quale la Mesolcina acquistava la piena libertà contro il pagamento della somma di 24`000 fiorini d’oro.


Naturalmente la vallata, povera in sé di risorse economiche, non poteva da sola pagare un riscatto così elevato. Venne pertanto aiutata da Coira e da altre borgate appartenenti alla Lega. Più tardi la famiglia Trivulzio intavolò trattative per riavere la valle. Il popolo di Mesolcina però, rifiutò categoricamente. Essendo libero, decise di rimanere tale. Da questo punto in avanti, la storia della Mesolcina è identica alla storia delle tre Leghe.


Sia la valle Mesolcina quanto il paese di Roveredo, vantano nel passato una storia alquanto movimentata.


Roveredo è sempre stata per il passato come lo è ancora tutt’oggi la capitale della valle.
Il suo nome deriva molto probabilmente dai folti boschi di rovere che circondavano il paese ai tempi dei primi insediamenti.


Roveredo: capoluogo del moesano

Roveredo è la capitale indiscussa della Mesolcina, ha scritto il dott. P. a Marca, da quando abbattuto il castello di Mesocco e cessato il regime feudale, è divenuta la residenza della magistratura politica e giudiziaria, con riserva però che l’assemblea generale dei cittadini mantenesse come luogo d’adunata l’antica sede della “centena” a Lostallo.


Roveredo vanta a giusto titolo le sue istituzioni scolastiche nei palazzi comunali di Riva, la sede delle scuole regionali, nonché le diverse industrie create entro il suo raggio, compresa quella del turismo e della villeggiatura sul Monte Laura.


Roveredo: il suo nome e il suo sigillo

Nell’atto di fondazione della Collegiata di San Vittore troviamo per la prima volta documenti con i nomi dei villaggi di tutta la Valle.


Roveredo ha preso il suo nome dai folti boschi di rovere che lo circondano. Negli antichi documenti troviamo spesso le impronte del sigillo di Roveredo. Il più antico porta la data del 1615 e non rappresenta altro che un rovere con sei rami, tre per lato, armonizzati in uno stemma. Attorno sta la dicitura “Sigilium Roveredi Comunitatis”.


Dante Vieli che nel 1930 scrisse la storia della Mesolcina sulla scorta dei documenti rinvenuti, afferma che questo stemma è migliore di quello apparso più tardi col ponte e San Carlo.


Il Borgo e le sue frazioni

Roveredo, che attualmente conta circa 2`200 abitanti, è rimasto il borgo del passato: - il Comune frazioni - ; così giustamente ha affermato in appunti di storia mesolcinese il prof. Arnoldo Zendralli, già presidente centrale della Pro Grigioni Italiano.
Infatti ben una ventina sono le frazioni che sparse qua e là sulle due sponde della Moesa formano il borgo dove si ergono e si ergevano i campanili e le chiese.


Alla destra del fiume si eleva la splendida collina di Carasole con la frazione omonima e l’antica chiesa di San Rocco che conserva la pregevole Madonna del Manto di Ivo Striegel. Ai piedi della collina Piazza e St. Antonio, pure con la loro Chiesa.
San Giulio si presenta subito con la visione della sua mirabile torre campanaria, a grosse pietre squadrate, alta sulle case, le vigne e la campagna.

 

La chiesa di S. Anna o del Ponte Chiuso è posta all’imbocco della selvaggia Traversagna disseminata di monti e maggesi fin su, su ai confini con l’Italia.
Sorta tramite l’ampliamento di una precedente cappella del XVI secolo, quella di S. Anna è un capolavoro dell’arte barocca e presenta pregevoli lavori degli stuccatori roveredani Giuliani. Ammirato in modo particolare il San Tommaso di Nicolao de Giuliani, artista roveredano del 1700. Altre chiese, come ad esempio quella di San Giorgio, San Fedele, San Sebastiano, ecc. sono scomparse causa alluvioni, scoscendimenti e altri motivi ancora.


Nelle adiacenze della Traversagna i romantici grotti, ritrovo dei buongustai che apprezzano soprattutto il prosciutto mesolcinese.


Per parlare del centro del borgo citiamo la frazione di Riva, con le scuole, quella del Sant ormai ferita nel suo cuore dal passaggio della strada nazionale A13, Piazzetta coi portici….


Lo storico ponte di valle: alluvioni e scoscendimenti

Nel 1951 Roveredo ha perso il “suo monumento” più bello e più caratteristico, lo storico ponte di valle fatto costruire dal conte Giangiacomo Trivulzio da Antonio Ponzoni di Piuro nel 1486 per il prezzo di 1600 lire imperiali (“a quel tempo, dice il Vieli, la popolazione del borgo era di circa 800 anime e lavorava …. intorno alla fabbrica della chiesa di San Giulio”).


Fu la famigerata alluvione dell’otto agosto 1951 che ferì mortalmente il millenario ponte dalle ampie arcate e dai pilastri massicci e che donava al borgo un aspetto fiero e serio. Roveredo purtroppo fu costantemente minacciata da alluvioni e scoscendimenti.


Fra le prime, oltre a quella già citata del 1951, ricordiamo in modo particolare le alluvioni del 1799, del 1829 e del 1834: fra gli scoscendimenti il più nefasto fu quello dei Valloni che verso la metà del XVII secolo distrusse la chiesa di San Giorgio che si ergeva fra le frazioni di Rugno e Caldana.


L’importanza del borgo già al tempo di Giangiancomo Trivulzio

Roveredo fu indiscutibilmente il comune più importante della Mesolcina a partire dal 1487 allorquando, pur lontano dalla valle (dott. Vieli), G.G. Trivulzio vi faceva costruire grandi e costosi lavori pubblici. Avendo egli nell’87 ottenuto dall’imperatore la conferma della contea di Mesolcina e il diritto di battere moneta, è a Roveredo che di lì a poco si apre la zecca.

 

Qui vi risiede il commissario di Valle, qui continua a tenersi la gran fiera di San Gallo, qui mette capo la strada del San Jorio, si aprono le botteghe nelle due file dei caratteristici portici che corrono lungo la Moesa, si tiene farmacia, qui pongono la loro sede gli uomini e le imprese d’affari.


Roveredo è il capoluogo e il Trivulzio vi abbellisce la sua sede, ornandola di un vivaio, di giardini, di fontane marmoree, dotando la torre di un orologio pubblico.


I magistri

Dalla metà del 17. alla fine del 18. secolo Roveredo diede i natali a numerosissimi mastri da muro, stuccatori, pittori e architetti, comunemente denominati “Magistri”, che seppero farsi molto onore all’estero, specialmente in Baviera, Franconia, Svezia e Austria portando in quei lontani paesi la nobile arte del barocco italiano. I più famosi rispondono ai nomi di Enrico Zuccalli (1642 – 1724), architetto alla corte del Principe di Baviera a Monaco; Antonio Riva (1650 – 1714), architetto alla corte del Principe di Colonia e fondatore a Roveredo della prima Scuola popolare; Gabriele de Gabrieli (1671 – 1747), architetto alla corte di tre Principi – Vescovi ad Eichstätt (Baviera) e fondatore a Roveredo di una Scuola latina o “Ginnasio de Gabrieli”.

 

Altri famosi architetti o “Magistri” roveredani sono Giovanni Albertalli, Giovanni Androi, Giovanni Domenico Barbieri, Giovanni Broggi, Tommaso Comacio, Domenico Mazio, Domenico e Lorenzo Sciascia, Giovanni Serro, Gaspare Zuccalli ed i pittori Nicolao Giuliani e Martino Zendralli.

 

In onore di questi personaggi, il Comune di Roveredo vede scorrere al centro del proprio paese la cosiddetta "Strada di Magistri", che collega il ponte principale sul fiume Moesa al bivio della "Strada de San Giuli" e della "Strada de San Fedee".